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AUTOGESTIONE

Non è mia intenzione fare di questo breve articolo un pezzo con delle velleità scientifiche. Mi accontento di offrire una definizione estesa (e ovviamente discutibile) di cosa sia un modello autogestionale. Ritengo utile fissare qualche idea in mente ora che siamo all’inizio del percorso dell’Unione Sportiva Stella Rossa perché credo che, per quanto ogni correzione sia possibile in corso d’opera, la storia ci dimostri che le autogestioni con i piedi d’argilla  camminano sempre con passi malfermi.

L’autogestione è la facoltà degli individui, delle associazioni e dei gruppi sociali\etnici, di governare e governarsi autonomamente (cit. Anarcopedia). Il concetto di per sè sembra semplice ma nasconde delle complessità. Definendo  l’autogestione una facoltà di autogoverno non stiamo attribuendo il giusto peso all’aspetto più complesso di un autogestione ovvero le sue modalità. E’ infatti questo l’aspetto che  differenzia l’autogestione da altri sistemi di governo. Come all’interno di un individuo esistono pulsioni e tensioni che confliggono tra loro anche se mirano tendenzialmente al medesimo obiettivo (ad esempio la felicità o l’autosoddisfazione), così all’interno di un gruppo (grande o piccolo che sia) esisteranno interessi, prospettive e priorità che si troveranno inevitabilmente in conflitto anche quando vi è una forte condivisione delle premesse. Ma questa è la scoperta dell’acqua calda: la società è conflitto e così sono le relazioni umane. La negazione dello stesso non equivale alla sua soluzione ma semplicemente alla sua latenza. I veri nodi cruciali della questione sono: a) su quale esigenza nasce questo conflitto, b) come viene gestito, c) che valore qualitativo gli viene attribuito.

a) Detto in modo molto semplice si può litigare per delle cazzate clamorose oppure per delle questioni maledettamente serie. Per evitare di perdere la vita dietro alle minchiate è necessario che un gruppo abbia ben presenti quali sono i valori fondati ed impernianti del gruppo stesso. Intorno a questi è legittimo, necessario e positivo alzare barricate e dissotterrare asce di guerra. Per altre questioni meno fondanti, riconosciute tali dal gruppo stesso, questo atteggiamento spesso è disastroso.

b) La gestione del conflitto è un aspetto fondamentale per ottenere da esso un progresso individuale e collettivo. Che in amore e in guerra tutto sia lecito è una delle tante cazzate che si dicono per far prendere aria alla glottide. Così come i cavalieri medievali, i gentiluomini settecenteschi o i galli da combattimento è necessario anche per i componenti di una realtà autogestita stabilire un codice del conflitto. Una serie di regole d’ingaggio che servano a mantenerlo dentro dinamiche costruttive, senza ridurlo a mera rappresentazione ma consentendo che esso si possa svolgere all’interno di un quadro definito. La rottura di questo quadro di riferimento genera un conflitto di metodo, qualcosa che diviene una nuova fase fondante del gruppo stesso e che allo stesso tempo ha la potenzialità di distruggerlo.

c) La lotta è bella! Provare se stessi sugli altri dà la misura delle proprie capacità. E’ all’interno di uno scontro che si acuiscono i propri sensi, che viene dato fondo ad ogni abilità e se ne apprendono di nuove. Non si lotta per desiderio di sopraffazione, mai. Si lotta per amore di verità. Di una verità dialettica che solo l’esito del conflitto sarà in grado di dimostrare come tale.

Torniamo a noi, anche se in realtà non abbiamo mai parlato d’altro. Un gruppo che si propone di autogestirsi, e questo è più un modello a cui tendere che non un dato di partenza, deve avere nei soggetti che lo compongono la conoscenza, la discussione e il desiderio di miglioramento di queste dinamiche. Diversamente l’autogestione diventa uno schema molto pericoloso: l’assenza di dispositivi di controllo (di potere) permette a chi sa, vuole e può usare se stesso e le sue capacità per la sopraffazione altrui di farlo con relativa semplicità. Spesso, proprio all’interno di contesti che si propongono di autogestirsi, si trovano le più becere dinamiche di sopraffazione di un individuo su un altro. Succede ad alcuni di scambiare l’autogestione per il modello del branco, con relativi maschi alfa che fondano il proprio predominio su un concetto di presunta superiorità e non sulla convinzione in una verità dialettica.

Ho pochissima fiducia nelle persone e moltissima ne ripongo invece in questo gruppo. Credo che sarà capace di affrontare le sfide che si troverà davanti, nella complessa gestione di se stesso e nel perseguire gli obiettivi che sceglierà di rincorrere.

 

VIVA LA KAMUNIA PARANOIKA!

VIVA L’UNIONE SPORTIVA STELLA ROSSA!

Fanza Onda d’Urto

Rendiamo disponibile anche in versione .pdf la FUnzin che abbiamo prodotto in occasione della festa di Radio Onda d’Urto 2012 ( http://festaradio.org/ ). Il cartaceo lo trovate presso lo stand di Radio Onda d’Urto Vallecamonica all’interno della festa. Non perdetevela…

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NO AL CALCIO MODERNO

 

“no al calcio moderno, no alle payTV” questo è uno dei tanti slogan che si sentono, che si cantano, che si scrivono nel mondo degli ultras, delle curve o più in generale dei tifosi di calcio. Tanti ci credono, qualcuno boicotta, qualcun’altro lo dice e basta, ma resta, o per lo meno così si pensa, un messaggio legato alle grandi squadre di calcio e ai loro tifosi, coloro che la domenica vanno in stadi gremiti da migliaia di persone, coloro che seguono una squadra che riceve milioni di euro di diritti televisivi, coloro che guardano la propria squadra su SKY.

 

Poi, nella vita di tutti i giorni, in quelle ore che separano le domeniche e che chiamiamo giorni lavorativi, ci troviamo tutti a giocare al pallone nel campetto dell’oratorio, dimentichiamo per un’ora la poltrona e ci ricordiamo che ci piace sudare, litigare, farci male e segnare, ci ricordiamo di quanto era divertente quando eravamo bambini andare al campetto, anche da soli, sicuri di trovare qualcuno con cui giocare, anche solo a 21 o muretto, magari con il pallone che perdeva piano piano le pezze di cuoio o che finiva sulle macchine, sotto l’occhio stanco del prete.

Questo prima, ma oggi? Questa mattina mi sono alzato e ho trovato…il sintetico! La maggior parte dei campi sono oggi ricoperti da erba sintetica (che a noi ci piace quella naturale) e chiusi da sbarre perchè, si sa, sono 50 euro all’ora per calpestare questo campo! e i bambini? e i bambini niente, pazienza, non ci giocheranno più su questo campo! e i grandi! loro possono pagare! avanti così allora! se in curva si lotta contro un calcio che fa SKYfo, nella vita di tutti i giorni, nei nostri campi,nei nostri paesi, dobbiamo lottare contro un calcio sintetico, un calcio che esclude, un calcio che ci fa credere tutti dei Cristiano Ronaldo (con scarpette color fluo comprese), un calcio classista.
E’ davvero questo lo sport che abbiamo scelto, che ci ha sempre appassionato, che ci ha unito fin da piccoli? Per me non lo è. Il bello del nostro sport è che unisce, che basta un pallone da pochi euro per “fare una partitella”, che se ne frega della nostra storia ma che tira fuori, da ognuno, lo spirito agonstico.
No al calcio moderno è dunque uno slogan da portar fuori dalle curve, non riguarda solo la serie A ma la nostra vita e l’approccio al calcio in generale, usciamo dai campi sintetici e della loro logica di profitto e torniamo nelle strade, nei parcheggi, nelle piazze a giocare con il fubal!

[Mister]


LA KAMUNIA AI MONDIALI

Per celebrare la prima partecipazione della Kamunia Paranoika ai Mondiali antirazzisti (che si terrano dal 4 all 8 luglio in provincia di Bologna per ulteriori info www.mondialiantirazzisti.org ) pubblichiamo di seguito il contributo del Paris.

RESTIAMO VIVI, ANTIRAZZISMO SEMPRE !

SSSSHHH

Essere clandestino: vita silenziosa distrutta da indifferenti coglioni benpensanti

SSSSHHH

Capo chino: lavorare, obbedire, soffrire

SSSSHHH

Monopolio sulla vita delle persone: anfetamina gratuita per gli sfruttatori

toc toc

La rabbia bussa alle porte della guerriglia

toc toc

Sento il profumo della lotta: la disperazione raggiunge il cielo e l’odio tocca il sole

toc toc

Il sole tocca il mondo e lo riempie dei colori della speranza

click boom

La speranza prende la pistola e uccide

click boom

Il cuore ascolta il grido di rabbia dei proiettili della giustizia

click boom

Azioni pericolose

Idee nobili e la questione è dagli corso

MEMORIE DI CENTOMILA UOMINI

Congo. 5 milioni di morti. La sua storia è iniziata da questa terra, e qui i suoi occhi, il suo corpo, e il suo cuore hanno sofferto i colpi di una delle guerre più cruente della storia. Pochi sono i conflitti che nascono da idee nobili purtroppo, e si chiamano rivoluzioni. No, qua c’è ben altro, c’è la droga del potere e del profitto (in questo senso si può essere proibizionisti). Funziona pressapoco così: col capitale prendi le armi, con le armi prendi il potere, con il potere controlli le miniere, con le miniere ottieni il capitale. È un circolo vizioso, è una ruota che gira all’infinito e non si ferma mai: un pallone che rotola su una superficie senza attrito. Strano, ha un logo e una scritta occidentale: Mercantilismo. Fame, sofferenza, stupri, HIV, malattie,  roiettili, bombe: questo è il suo paese, è il Congo. Gira tra i cadaveri, intorno “bullets” ovunque: sì, si chiamano proprio così perchè qua è tutto misteriosamente straniero (i morti no, quelli sono di casa) e ha la lingua della globalizzazione: Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Italia, Germania, tutto il mondo partecipa allo scempio dell’umanità. Accanto a un “niño soldado” si china a raccogliere un Machete Anschutz, il bambino porta al collo un amuleto, un portafortuna, un gri-gri africano. È uno scontro tra civiltà: umanità e alienazione. Ha deciso di scappare, di andarsene. Gli occhi non potevano piangere ancora. Adesso si trova in una terra diversa, si trova in Italia. Il luogo di detenzione si chiama CIE. Le gabbie fatiscenti, 4X4 metri quadrati di umiliazione, “ospitano”(ringraziamo del prestito linguistico il merdoso burocratese politico italiano) con pranzi scadenti e scaduti venti persone. Questa è una prigionia. Ma quale dio così stronzo( o sbronzo) può dare il diritto a qualcuno di dire se altre persone esistono? Essere vivi è  un’illegalità? Fanculo. Alla fine sì, è tutta una questione di religione. Ogni cultura ha i suoi dei. Loro Allah, noi le banche. Loro pregano e si inginocchiano 5 volte al giorno su un tappeto, noi molte volte di più e sul marmo freddo. Loro hanno venduto l’anima, noi il culo.

Ma torniamo al nostro Uomo. Ha passato tante sofferenze e umiliazioni per giungere in queste campagne. Rosarno: un nome di molti paesi con lo stesso volto e lo stesso sfruttamento. Sta aspettando. Sopporta. Soffre. Ha pagato dei soldi perché qualcuno confermi che lui vive. Attende il permesso di esistere (in Italia secondo il “grufolandese” dei legulei si chiama  soggiorno”). Intanto il lavoro è nero, nerissimo: 12 ore di lavoro per 20 euro al giorno. Gli danno anche vitto (scarso è un eufemismo) e l’alloggio(immaginario). Condannato a essere un non-uomo, a soffrire affamato per perpetuare il profitto altrui. Diverse terre, stessa sottomissione. No, non può fuggire, non può starci.

Alza testa e vede il cielo, il sole e la libertà. La vanga non è più uno strumento di disperazione, ma di liberazione. Lui non è più chino sulla terra, ma è ritto senza paura di fronte ai mercenari caschi blu (non quelli dell’Onu, anche se…) ben pagati e ben muniti. Ma cavolo lui non è da solo, sono in centomila: italiani, eritrei, peruviani, marocchini, tutti uniti. Pistole e fucili risuonano i loro colpi nell’aria. Senza padroni, senza barriere, senza nazioni, senza confini ora e sempre contro ogni sfruttamento siamo pronti a uccidere, e lo faremo finché ne sentiremo la necessità.

P.S. Noi siamo “mandeliani”: rifiutiamo la violenza e usiamo lo sport per portare le nostre idee, ma in verità siamo anche un po’ “nietzschiani”: le situazioni cambiano, noi ci adattiamo.

 

[Paris]