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PRESIDIO ANTIFASCISTA

PRESIDIO ANTIFASCISTA SABATO 25 MAGGIO H. 14.00 PIAZZA XIII MARTIRI – LOVERE

MAN

False Commemorazioni, Nostalgie Vere

Ancora fascisti nel paese dei XIII Martiri Partigiani

 

C’è chi crede che la lotta contro il fascismo sia finita il 25 aprile 1945.  I fatti e la storia dimostrano che non è così, tanto che oggi le nostre piazze e le nostre strade sono ancora infestate da loschi figuri che non si vergognano a richiamarsi a questa becera e triste ideologia.  Loschi figuri che annaspano per tornare a galla con il pretesto della nostalgica commemorazione di due repubblichini della legione nera Tagliamento, giustiziati dai partigiani all’indomani della fine ufficiale della seconda guerra mondiale. Vorrebbero farlo il 25 maggio sul lungolago di Lovere. Paese che ospita la stele in ricordo dei XIII Partigiani uccisi proprio dalla legione Tagliamento.

La legione Tagliamento si era resa responsabile di nefandezze, soprusi, violenze e rappresaglie contro le formazioni partigiane e la popolazione della zona. Quello che oggi questi fascisti celebrano sulle rive del lago non è solamente la memoria dei loro assassini morti, ma un’ideologia con cui l’Italia non è mai riuscita a saldare i conti, dall’amnistia all’MSI e dallo stragismo degli anni ’70 fino agli squadristi del terzo millennio. Ideologia che viene riutilizzata ogni qualvolta al potere serve soffocare spinte al reale cambiamento. Lo vediamo oggi anche in Grecia dove formazioni dichiaratamente neonaziste, vedi Alba Dorata, forti della paura generata dalla crisi e della protezione degli apparati dello Stato, propongono finte soluzioni alle ricette della troika e alle politiche di austerità e macelleria sociale imposte dal capitalismo.

Di fronte a questa crisi il fascismo non può essere una soluzione, ma rappresenta una parte del problema.

Oggi come ieri i fascisti creano falsi nemici identificandoli sulla base della provenienza nazionale, della razza, della cultura o dell’orientamento sessuale, nascondendo così l’unico reale conflitto che questa crisi ha palesato: quello tra sfruttati e sfruttatori. Oggi come ieri i fascisti riciclano parole d’ordine, temi, simboli, battaglie che a loro non appartengono e non sono mai appartenute, con il solo scopo di rendersi presentabili agli occhi di un’ opinione pubblica che invece è alla ricerca di un reale cambiamento e che ancora reagisce con un moto di ripulsa davanti alla parola “fascismo”. E’ così per esempio che personaggi dichiaratamente antifascisti come Che Guevara o Peppino Impastato, entrano nel calderone della loro iconografia distorta.

 

I fascisti attuali hanno imparato dai nonni il culto del capo, della forza, l’obbedienza cieca alle gerarchie di branco e l’uso politico di una violenza fatta di pestaggi, intimidazioni, sempre pronti a farsi forti con i più deboli e mai con i potenti. Il fascismo contemporaneo condivide con quello storico il mito della famiglia patriarcale – in cui un padre padrone ha diritto di imporre la sua volontà anche con la violenza –  nega le libertà sessuali, i diritti delle coppie gay, il diritto ad autodeterminare le scelte riguardanti il corpo, dall’aborto all’eutanasia.

 

Il fascismo insulta la memoria storica di questo paese e dei partigiani che hanno combattuto per liberarlo: ieri li chiamava banditi, oggi traditori e assassini. Non esitano, i camerati che oggi fingono di piangere i loro morti, a sfregiare il ricordo della Resistenza e della Liberazione dal nazifascismo, come è avvenuto il 25 aprile dello scorso anno alla stele dedicata ai 13 Martiri di Lovere.

Proprio la piazza intitolata ai 13 partigiani vorremmo diventasse simbolo di una nuova lotta di liberazione: dai partigiani abbiamo imparato che solo mettendosi in gioco in prima persona si conquista il diritto alla propria libertà e noi combattiamo contro un futuro fatto di precarietà, povertà e disoccupazione.

Essere antifascisti oggi vuol dire rifiutare una guerra tra poveri che avvantaggia sfruttatori, capitalisti e banchieri. Significa lottare contro ogni discriminazione di genere, di cultura, di provenienza nazionale. Significa portare avanti i valori della Resistenza e negare spazi di agibilità politica a tutti i fascismi, qualunque sia la maschera che di volta in volta indossano.

Essere antifascisti oggi vuol dire lottare ogni giorno per l’uguaglianza sociale, costruire luoghi, spazi e forme di socialità liberata da logiche autoritarie, difendere le proprie vite e i propri territori dalla speculazione e dallo sfruttamento.

Fino a quando questi spettri in camicia nera si aggireranno per le nostre strade richiamandosi a ideologie di violenza e repressione, siamo tutti chiamati a non abbassare la guardia e ad usare le nostre intelligenze e i nostri corpi per impedire ogni loro tentativo di tornare a galla.

Sabato 25 Maggio 2013 Presidio Antifascista a Lovere, Piazza XIII Martiri, H. 14. Nessuno spazio ai fascisti.

Antifascisti Camuni

 

INCITAMENTO ALLA KAMUNIA*

*(ovvero un po’ di sana retorica prepartita)

la battaglia di Frankhenausen
la battaglia di Frankhenausen

Sabato 6 aprile alle 17.00 sul campo di Volpino la Kamunia Paranoika si dovrà battere per la partita d’andata del primo turno dei play-off. “Salvetti Salvalaspongada” è la formazione che proverà a sfondare le mura del castello di Volpino per conquistare lo sbocco al secondo turno. Nonostante il dolce nome, la formazione edolese si presenta come un aspro avversario: 13 punti in più accumulati durante il campionato e un più 6 di differenza reti (la K*P segna un impietoso -19).

La strada che ci ha condotto fino qua è stata irta di difficoltà. Abbiamo dovuto sfondare muri che noi stessi ci siamo costruiti e, soprattutto nelle ultime partite, abbiamo avuto una pesante involuzione, sul piano del gioco, dei risultati, della partecipazione, dell’impegno. Le nostre belle speranze di segnare il record di punti, di finire nella parte alta della classifica e, forse anche solo, di mostrare il nostro vero valore si son sciolti come neve al sole, lasciando dietro di sé una scia di nervosismo e malumori. Siamo senza dubbio nel punto più basso della nostra vita di squadra  dall’inizio della stagione ad oggi ed è proprio adesso che ci troviamo davanti ad una partita da dentro o fuori. Ora noi siamo in fondo ad un maledetto pozzo ma possiamo ancora decidere che cosa vogliamo fare: se vogliamo rannicchiarci in fondo a questo fosso ed aspettare qualcuno che, caritatevole, venga a  darci il colpo di grazia; oppure se vogliamo scalare le pareti del pozzo verso quella luce che vediamo là in cima con le unghie, con i denti e soprattutto con l’aiuto dei nostri compagni di squadra, della nostra torcida, di tutti quelli che da lontano penseranno a noi che combattiamo su quel campo. Quello che dobbiamo fare, signori, non è nient’altro che una scelta: lottare o perdere.

Nel calcio, come nella vita, a fare la differenza sono le piccose cose, i dettagli: un movimento fatto troppo presto e l’avversario ci salta, uno fatto troppo tardi e non raggiungeremo più il pallone; una voce non data al compagno per avvisarlo dell’uomo che arriva e la squadra subisce gol. In ognuna di queste piccole cose ci passa la grande differenza tra la vittoria e la sconfitta, così nel calcio come nella vita. E allora non dobbiamo distrarci, mai. Non dobbiamo dimenticare mai di mettere in ogni piccolo ed apparentemente insignificante gesto il nostro desiderio di vincere. Questo lo dobbiamo a noi stessi ed ai nostri compagni, che faranno la stessa identica cosa per loro stessi e per noi.

La storia ci ha insegnato che quelle che si credevano essere le battaglie decisive di una guerra a volte non sono state altro che una battaglia in più. Allo stesso modo ci insegna che in ogni piccola ed apparentemente insignificante battaglia si nasconde il segreto della vittoria finale. Quella di sabato forse è la nostra Frankenhausen, la nostra Caporetto o la nostra Stalingrado, in qualunque caso è la nostra ultima occasione per dimostrare chi siamo; non potremo mai arrivare a nessuna battaglia campale se non vinceremo la sfida di domani.

Perciò, signori, ora vi chiedo: che cosa volete fare?

Gestazione, nascita e crescita della Palestra Popolare Valcamonica

Durante la festa di Radio Onda d’Urto lo stand dei camuni come sempre si anima e si riempie di loschi figuri. Ci sono i compagni della radio, da sempre presenti dietro quelle spillatrici e nobili rappresentanti della valligianità, ci sono alcuni giocatori e tifosi della Kamunia Paranoika, squadra di calcio e progetto di sport dal basso, e alcuni ragazzi del kag, kapannone autogestito che da tempo anima le serate dalle nostre parti. Insomma quello stand diventa crogiuolo di molte delle esperienze politiche e sociali che si sono espresse negli ultimi anni dentro ai confini camuni.

Tra una birra e l’altra qualche giovane sognante inizia a progettare la nascita di una palestra popolare. Un luogo in cui le competenze di pochi vengano messe a disposizione di tutti. Non per lucrarci, ma per il piacere di condividere un percorso e sviluppare alternative ai modelli sportivi dominanti in questa società. Uno sport popolare: la possibilità di apprendere condividendo principi e obiettivi politici, oltre a sudore e spogliatoi.

La festa volge al termine, i rapporti sono maturati e una volta tornati a casa si lancia un primo appuntamento: una riunione per contarci. La partecipazione è sopra le aspettative, ma c’è un però. Tutti ad organizzare pochi ad allenarsi, c’era da aspettarselo. Col tempo uno zoccolo duro continua ad incontrarsi, l’allenatore macina 200 km tutte le domeniche, i soldi non ci sono ma comunque si prosegue. Siamo a febbraio, sei mesi dopo che l’idea è stata partorita, e possiamo dire che ce l’abbiamo fatta. La palestra è in splendida forma: una festa ha rimpinzato le casse, i numeri sono cresciuti, gli allenamenti sono raddoppiati e l’umore è alto.

boxe

La boxe è una roba seria, prenderla sottogamba significa prendere un sacco di botte. Lo sport popolare, nonostante l’idea che si può sviluppare di esso, non è uno sport all’acqua di rose e far parte di una palestra o di una squadra di calcio non significa non allenarsi o non prendere seriamente le cose. L’esperienza della kamunia ce l’ha insegnato: cinque anni di vita hanno dimostrato come nei momenti in cui l’impegno atletico profuso era ad un buon livello anche l’aggregazione e la capacità di veicolar messaggi davano i loro frutti. Qui non si tratta di diventare celebrità, qui si tratta di sapersi difendere ed attaccare quando necessario. Non siamo buonisti e nemmeno siamo amici di tutti. Vincere e perdere fanno parte della natura umana e delle nostre vite, per fortuna. Il distinguo sta in cosa si vince e cosa si perde. Forse la palestra popolare serve anche a questo: provare, attraverso il sudore, a vincere le paure e alla fine trovarsi con nuovi legami e nuove situazioni in cui far diventare realtà i progetti che sembravano solo utopia.

Lunga vita alla palestra popolare. Ce n’est qu’un début, continuons le combat.

 

 

Radio onda d’urto intervista un tifoso paranoiko

Qui ( http://vallecamonica.radiondadurto.org/files/2012/12/trasmissione-valcamonica-novembre1.mp3 ) potrete sentire l’intervista realizzata da Radio onda d’urto a un tifoso della Paranoika andata in onda a novembre e che solo ora ci ricordiamo di pubblicare.

p.s. vi consigliamo di ascoltare l’intera trasmissione che tocca temi molto interessanti e di seguire la redazione locale di Valle Camonica a questo link http://vallecamonica.radiondadurto.org/

gatto

 

 

GIù LE MANI DA BARTLEBY!

Bologna, martedì 23 gennaio, ore 8.

Una tranquilla mattinata di lezioni universitarie, ma non per tutti.

Studenti, artisti e precari del collettivo Bartleby sono già in strada a protestare, a lottare per ciò per cui hanno lavorato sodo, per ciò in cui credono.

bartleby

Per oltre un anno, nel 2009, il collettivo ha dovuto far fronte a più sgomberi della loro prima occupazione, e dopo numerose rioccupazioni dello stabile dell’università in via Capo di Lucca, il rettorato ha concesso loro un altro edificio in via S. Petronio Vecchio dove, da allora, l’attività politica e culturale è stata intensissima e ha dato un forte contributo alla vita universitaria bolognese.

Concerti, reading, dibattiti, progetti di autoformazione e tante altre attività hanno per 3 anni reso florida la vita del collettivo, fino a martedì.

Fino a quando il rettore Dionigi ha deciso che non c’è più posto per loro nella sua università, fino a quando il consiglio comunale ha intrapreso una vera e propria campagna di sgomberi nel centro della città.

Una dichiarazione di guerra a chi produce politica e cultura in forma indipendente, a chi costruisce percorsi di autonomia e di autogestione, a chi sperimenta nuove forme di espressione e di trasmissione del sapere, a chi si organizza collettivamente per rispondere a un crisi economica che ci spoglia ogni giorno dei nostri diritti. Per queste esperienze in città non c’è spazio.

Così, martedì mattina, dopo mesi di minacce di sgombero, dopo il rifiuto da parte del collettivo di spostarsi in una zona industriale troppo lontana dal centro della vita della città, dei bravi e ubbidienti soldatini hanno esaudito il desiderio di rettore e sindaco murando la porta dietro cui per anni tante persone hanno lavorato per offrire cultura, svago, e contenuti politici a questa città.

Chi offre cultura come vero e proprio diritto alla persona non può esistere.

Ma lotta per poter esistere.

Via Zamboni blindata da camionette per l’intera mattinata, il rettorato presidiato dalle forze dell’ordine.

Ed in via S. Petronio Vecchio, resa  inaccessibile persino agli abitanti, la polizia inizia a caricare i manifestanti che tentano di riprendersi la loro sede e che, forti delle loro intenzioni, non indietreggiano nemmeno di un passo nonostante i ripetuti attacchi dei militaruncoli.

Ma niente da fare, il Bartleby è off limits.

Così il collettivo si organizza e nel pomeriggio occupa un’aula della facoltà di lettere e filosofia dove per 2 giorni si sono fatte assemblee pubbliche, dove si è lanciata una manifestazione per sabato 26 gennaio.

PARTIRE DAL BARTLEBY PER RIPRENDERCI LA CITTA’.

Perché non ci stiamo a vivere in una città vetrina, desertificata e cristallizzata.

Perché c’è chi mura le porte e chi le apre. Chi si chiude nel vuoto delle proprie stanze e chi invece pensa che la partecipazione sia una pratica quotidiana, non una parola da spot elettorale.

Dissotterriamo le asce di guerra.

Riprendiamoci il Bartleby.

Per riprenderci i nostri diritti.

Per riappropriarci della nostra cultura.

Per rivendicare la nostra libertà.

[La Valeria]