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I PLAY OFF

Sognori, eccoci qui. Il campionato si è concluso con la più dura sconfitta dell’anno per la K*P (9 a 1 sul campo dell’Angolo Celtics) ma non è finito niente. E’ tempo di PLAY OFF. E’ tempo di riscatto dalle ultime brutte prrestazioni e da un campionato concluso decisamente sotto le nostre possibilità.

Come potete vedere da questo tabellone:

Tabellone andata 1° turno play-off
Tabellone andata 1° turno play-off

 

I nostri primi avversari saranno “Salvetti Salvalaspongada”. Una squadra tosta, che ha concluso il suo girone in ottava posizione con 23 punti frutto di 7 vittorie e 2 pareggi, segnando 65 gol e subendone 59. Numeri impietosi se paragonati ai 10 punti della K*P collezionati segnando 43 gol e subendone 72.

Tuttavia ci sono delle cose che ho imparato sulla Paranoika in questi anni: la prima è che i numeri non rendono mai giustizia del valore espresso in campo dalla biancorossa. La seconda è che la Kamunia è come una scatola di cioccolatini…non sai mai quale ti tocca. E così succede che si perdono partite già vinte sulla carta e si vincono partite che sembrano impossibili.

Per queste ragioni se dovessi scommettere mi farei guidare ancora una volta dal cuore e punterei tutto su questa squadra che forse non è la più forte e sicuramente a volte non è all’altezza dei propri sogni, ma in ogni momento è tenuta insieme dalla volontà di superare i propri limiti e sconfiggere i propri demoni.

Fino alla fine forza Kamunia!

 

Gestazione, nascita e crescita della Palestra Popolare Valcamonica

Durante la festa di Radio Onda d’Urto lo stand dei camuni come sempre si anima e si riempie di loschi figuri. Ci sono i compagni della radio, da sempre presenti dietro quelle spillatrici e nobili rappresentanti della valligianità, ci sono alcuni giocatori e tifosi della Kamunia Paranoika, squadra di calcio e progetto di sport dal basso, e alcuni ragazzi del kag, kapannone autogestito che da tempo anima le serate dalle nostre parti. Insomma quello stand diventa crogiuolo di molte delle esperienze politiche e sociali che si sono espresse negli ultimi anni dentro ai confini camuni.

Tra una birra e l’altra qualche giovane sognante inizia a progettare la nascita di una palestra popolare. Un luogo in cui le competenze di pochi vengano messe a disposizione di tutti. Non per lucrarci, ma per il piacere di condividere un percorso e sviluppare alternative ai modelli sportivi dominanti in questa società. Uno sport popolare: la possibilità di apprendere condividendo principi e obiettivi politici, oltre a sudore e spogliatoi.

La festa volge al termine, i rapporti sono maturati e una volta tornati a casa si lancia un primo appuntamento: una riunione per contarci. La partecipazione è sopra le aspettative, ma c’è un però. Tutti ad organizzare pochi ad allenarsi, c’era da aspettarselo. Col tempo uno zoccolo duro continua ad incontrarsi, l’allenatore macina 200 km tutte le domeniche, i soldi non ci sono ma comunque si prosegue. Siamo a febbraio, sei mesi dopo che l’idea è stata partorita, e possiamo dire che ce l’abbiamo fatta. La palestra è in splendida forma: una festa ha rimpinzato le casse, i numeri sono cresciuti, gli allenamenti sono raddoppiati e l’umore è alto.

boxe

La boxe è una roba seria, prenderla sottogamba significa prendere un sacco di botte. Lo sport popolare, nonostante l’idea che si può sviluppare di esso, non è uno sport all’acqua di rose e far parte di una palestra o di una squadra di calcio non significa non allenarsi o non prendere seriamente le cose. L’esperienza della kamunia ce l’ha insegnato: cinque anni di vita hanno dimostrato come nei momenti in cui l’impegno atletico profuso era ad un buon livello anche l’aggregazione e la capacità di veicolar messaggi davano i loro frutti. Qui non si tratta di diventare celebrità, qui si tratta di sapersi difendere ed attaccare quando necessario. Non siamo buonisti e nemmeno siamo amici di tutti. Vincere e perdere fanno parte della natura umana e delle nostre vite, per fortuna. Il distinguo sta in cosa si vince e cosa si perde. Forse la palestra popolare serve anche a questo: provare, attraverso il sudore, a vincere le paure e alla fine trovarsi con nuovi legami e nuove situazioni in cui far diventare realtà i progetti che sembravano solo utopia.

Lunga vita alla palestra popolare. Ce n’est qu’un début, continuons le combat.

 

 

Radio onda d’urto intervista un tifoso paranoiko

Qui ( http://vallecamonica.radiondadurto.org/files/2012/12/trasmissione-valcamonica-novembre1.mp3 ) potrete sentire l’intervista realizzata da Radio onda d’urto a un tifoso della Paranoika andata in onda a novembre e che solo ora ci ricordiamo di pubblicare.

p.s. vi consigliamo di ascoltare l’intera trasmissione che tocca temi molto interessanti e di seguire la redazione locale di Valle Camonica a questo link http://vallecamonica.radiondadurto.org/

gatto

 

 

GIù LE MANI DA BARTLEBY!

Bologna, martedì 23 gennaio, ore 8.

Una tranquilla mattinata di lezioni universitarie, ma non per tutti.

Studenti, artisti e precari del collettivo Bartleby sono già in strada a protestare, a lottare per ciò per cui hanno lavorato sodo, per ciò in cui credono.

bartleby

Per oltre un anno, nel 2009, il collettivo ha dovuto far fronte a più sgomberi della loro prima occupazione, e dopo numerose rioccupazioni dello stabile dell’università in via Capo di Lucca, il rettorato ha concesso loro un altro edificio in via S. Petronio Vecchio dove, da allora, l’attività politica e culturale è stata intensissima e ha dato un forte contributo alla vita universitaria bolognese.

Concerti, reading, dibattiti, progetti di autoformazione e tante altre attività hanno per 3 anni reso florida la vita del collettivo, fino a martedì.

Fino a quando il rettore Dionigi ha deciso che non c’è più posto per loro nella sua università, fino a quando il consiglio comunale ha intrapreso una vera e propria campagna di sgomberi nel centro della città.

Una dichiarazione di guerra a chi produce politica e cultura in forma indipendente, a chi costruisce percorsi di autonomia e di autogestione, a chi sperimenta nuove forme di espressione e di trasmissione del sapere, a chi si organizza collettivamente per rispondere a un crisi economica che ci spoglia ogni giorno dei nostri diritti. Per queste esperienze in città non c’è spazio.

Così, martedì mattina, dopo mesi di minacce di sgombero, dopo il rifiuto da parte del collettivo di spostarsi in una zona industriale troppo lontana dal centro della vita della città, dei bravi e ubbidienti soldatini hanno esaudito il desiderio di rettore e sindaco murando la porta dietro cui per anni tante persone hanno lavorato per offrire cultura, svago, e contenuti politici a questa città.

Chi offre cultura come vero e proprio diritto alla persona non può esistere.

Ma lotta per poter esistere.

Via Zamboni blindata da camionette per l’intera mattinata, il rettorato presidiato dalle forze dell’ordine.

Ed in via S. Petronio Vecchio, resa  inaccessibile persino agli abitanti, la polizia inizia a caricare i manifestanti che tentano di riprendersi la loro sede e che, forti delle loro intenzioni, non indietreggiano nemmeno di un passo nonostante i ripetuti attacchi dei militaruncoli.

Ma niente da fare, il Bartleby è off limits.

Così il collettivo si organizza e nel pomeriggio occupa un’aula della facoltà di lettere e filosofia dove per 2 giorni si sono fatte assemblee pubbliche, dove si è lanciata una manifestazione per sabato 26 gennaio.

PARTIRE DAL BARTLEBY PER RIPRENDERCI LA CITTA’.

Perché non ci stiamo a vivere in una città vetrina, desertificata e cristallizzata.

Perché c’è chi mura le porte e chi le apre. Chi si chiude nel vuoto delle proprie stanze e chi invece pensa che la partecipazione sia una pratica quotidiana, non una parola da spot elettorale.

Dissotterriamo le asce di guerra.

Riprendiamoci il Bartleby.

Per riprenderci i nostri diritti.

Per riappropriarci della nostra cultura.

Per rivendicare la nostra libertà.

[La Valeria]

GIUSTIZIA PER PAOLO!

Venerdì 18 gennaio un’audace spedizione camuna si è spinta fino a Verona, all’udienza finale di primo grado del processo verso otto poliziotti, accusati, in un pomeriggio del settembre 2005, di aver pestato, ridotto in fin di vita, causato un’invalidità permanente a Paolo Scaroni, ultras e tifoso del Brescia.

sbirri

Arriviamo nel parcheggio del tribunale verso le 14.00 ed il colpo d’occhio di sciarpe e striscioni è subito piacevole, tra i vari colori di milanisti, salernitani, veneziani, atalantini, doriani, leccesi, e poi ancora tifosi di Savona, Saint’Etienne, Fortitudo basket e altri che, tra le 600-700 (a stima casuale) persone presenti non abbiamo riconosciuto. Giusto il tempo di salutare qualche amico qua e la che, verso le 14.30, i nostri brontolanti stomaci ci ricordano di come un camuno medio solitamente pranzi verso mezzogiorno, quindi, passate le due, è giunta anche per noi l’ora di mangiar qualcosa. Ingoiamo una pizzetta al bar di fronte, una tale “bottega degli antichi sapori italici”, che poco aveva di gustoso prodotto nostrano e dove probabilmente non rivedranno più cosi tanta gente, almeno fino a quando gli scaligeri non intenteranno un processo contro Justin Bieber. Ritorniamo al tribunale giusto in tempo per spostarci nel piazzale interno: non so come sarebbe stato fare l’attore, certo è che il dispiegamento di telecamere in mano alla digos ci fa sentire più a Hollywood che a Verona. L’usanza è abbastanza inconsueta per un palazzo di giustizia (ci riprendono uno a uno dalla testa ai piedi, carta d’identità compresa), tant’è che addirittura il Bresciaoggi, non proprio un giornale di ultras o compagni sovversivi, mette in risalto la stranezza e l’inutilità provocatoria di certi gesti. L’attesa per la sentenza è lunga, la camera di consiglio dura più di due ore, il freddo abbastanza pungente e il sole pian piano decide di lasciarci, così cerchiamo di scaldarci e far passare il tempo alternando chiacchiere qua e la, una buona dose di raffinata ignoranza e pure qualche analisi economica sull’aumento dei tassi d’inflazione, da buoni ultras letterati quali siamo. Ci accorgiamo subito che quest’argomento non è dei più adatti, proviamo quindi a capire come potrà essere il verdetto, come mai ci mettono tanto per giudicare, che idee s’è fatto l’avvocato. E la voce che va per la maggiore è negativa. Verso le 17.30 ecco arrivare la sentenza, che noi ovviamente non possiamo sentire visti gli impedimenti di entrare nelle aule. L’apprendiamo quando uno dei pochi ragazzi che hanno assistito se ne esce urlando “bastardi, gli hanno assolti tutti”. Gli Ultras, si sa, non sono proprio degli angioletti, perciò, quando la sentenza è definitivamente confermata, si sente la rabbia crescere in tutti i presenti. Si sente l’odio nelle grida che si alzano, negli animi irrequieti della gente. Penso che ogni persona in quel piazzale non avesse aspettato altro che entrare nelle aule e gridare lo sdegno e lo schifo per questo vergognoso responso. Se possibile, visto che si sa, gli ultras non sono angioletti, anche prendere a sberle un cazzo di giudice che ovviamente ha dovuto proteggere i suoi cani da guardia. Gli animi ormai caldi vengono però stemperati dalle parole del padre di Paolo, dalla sua volontà di non fare nessun tipo di casino, di non prestare il fianco a facili strumentalizzazioni, di rispettare il dolore suo e della sua famiglia. Quella famiglia che è sempre stata vicina al mondo ultras in questi anni, quella famiglia di cui rispettiamo le richieste. Seguiamo tutti Paolo verso l’uscita, scandendo qualche coro come “vogliamo solo giustizia” o “la disoccupazione…”. Si risalutano qua e la i vari amici e se ne torna alla macchina, con tanta delusione e amarezza. Gli imputati sono stati assolti con dubbio, poiché dalle telecamere di sorveglianza mancano i dieci minuti di video in cui è successo il fattaccio. Il magistrato chiede di ricercare quelle immagini “andate perdute”, e non mi viene neanche da rispondere. Forse Guccini avrebbe dovuto cantare certo ci sarà sempre lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un MAGISTRATO o un prete a sparare cazzate. Ora si aspetteranno sessanta giorni per le motivazioni della sentenza. Ma si può facilmente intuire come uno stato non possa accusare (e se lo fa è sempre e comunque in maniera lieve) quei corpi che garantiscono la sua stessa sopravvivenza. Come abbiamo visto con Aldrovandi, con Cucchi e con tutti gli altri, lo stato non si punisce. Gli ultras invece sono parte marginale della società, e cosa importa se ogni tanto ne muore qualcuno, se uno finisce in coma, se qualcuno a caso viene accusato per farsi belli con l’opinione pubblica. Sono i reietti, gli esclusi, come un tossico, un ubriaco che barcolla alle quattro del mattino, uno che non santifica le feste o che lancia due sassi in Val di Susa. Gli ultras sono gli emarginati, che non si vedono al grande fratello o da Bonolis. Non sono i tranquilli litigiosi dei talk show. Gli ultras che, nonostante tutti i limiti che hanno, cercano ancora aggregazione, valori, socialità.

La giustizia non passa per le aule dei tribunali, ma questo già si sapeva. Lo stato non tutela i nostri interessi, ma anche questo già lo sapevamo. ACAB!

 

Giustizia per tutti i ragazzi vittime di uno stato criminale e assassino. Vittime di uno stato che difende solo padroni, borghesi e i loro cani da guardia.

GIUSTIZIA PER PAOLO!

 

[Il Faust]