Finisce con una vittoria al fulmicotone la partita di esordio della Brixia Paranoika dopo 40 minuti di lotta, stanchezza e bestemmie pregate in tutte le lingue del Mondo. Un 3 a 2 inferto alla squadra “C” dei carcerati che ha un sapore agrodolce, cerchiamo di capirne il motivo.
È sabato 24 ottobre 2015, sono le ore 13 circa quando la formazione non completa per via di alcune tessere mancanti si presenta ai cancelli del carcere di Verziano, periferia sud di Brescia, dopo i controlli di rito si aprono i portoni e i ragazzi mettono per la prima volta piede in un carcere. Ciò che le mura perimetrali celavano da fuori, appare subito ai loro occhi: uno spazio aperto coperto da prato (e campo da calcio) nella zona sud, una palazzina a un piano di fronte e poco più dietro una costruzione su tre piani che ospita le celle.
Gli ospiti entrano nella prima palazzina al cui interno sembrano esserci locali adibiti alla ricreazione (palestra, laboratori, chiesa, ecc.) e gli spogliatoi. Ci si muove sempre e solo scortati da un paio di guardie, così finalmente, verso le 13.30 la Brixia mette i tacchetti sulla terra carceraria.
Sono tanti gli uomini presenti, alcuni con le casacche della squadra di casa, altri indaffarati in altri sport, alcuni che oziano a bordo campo. Anche le nazionalità rappresentate appaiono subito svariate, sicuramente tanti italiani ma anche magrebini. È appunto egiziano il primo ragazzo che si unisce noi, cercavamo un portiere e si presenta lui: benvenuto. A traino si aggrega anche un altro ragazzo che sarà la nostra punta per buona parte della partita.
Il tempo stringe, la tensione si mangia il riscaldamento, la Brixia si guarda in giro più che pensare al pallone, inutile negare che il posto in cui si gioca rappresenta una novità troppo grande per concentrarsi al meglio. I mister danno il modulo (il classico 2-3-1) e la formazione, è ora di iniziare.
Primo tempo agonistico e sofferto, la Brixia va avanti di uno grazie a un gol di testa ma i padroni di casa recuperano subito, si corre molto in campo, si controlla poco la palla e la partita si fa fisica. Si rientra nel secondo tempo carichi, più carichi dei carcerati che accumulano stanchezza e nervosismo, la Brixia potrebbe affondare il colpo ma non trova lo specchio della porta per buona parte della ripresa, complici la fatica e alcuni infortuni pregressi.
Il tempo scorre, siamo ormai negli ultimi minuti quando una doppietta tanto pesante quanto repentina porta il risultato sul 3 a 1, pochi secondi al triplice fischio, solo il tempo per i padroni di casa di tentare la rimonta ma chiudendo invece sul 3 a 2. Saluti e strette di mano alla fine sanciscono il rispetto per l’avversario.
Fino a qui il dolce. L’amaro c’è e lo si porta a casa, noi che a casa ci possiamo andare. L’amaro è quella sensazione, da qualche parte nello stomaco, di aver condiviso, anche solo per un attimo, la vita di persone costrette in una gabbia, un perimetro troppo stretto per chiunque, un sistema che porta a una non-vita. L’amaro è lì, nello stomaco, che ci ricorda di come non sono persone diverse da noi quelle incontrate in quei pochi minuti in campo, sono il nostro specchio che riflette un’altra vita ma che potrebbe capitare a chiunque. L’amaro è lì e penso che lo ritroveremo spesso in questo torneo.