Sono le note di Cielito Lindo quelle che accompagnano nella mente dell’esule paranoiko le immagini vive della Kamunia in campo, la Kamunia in Torcida, la Kamunia al Beatì, la Kamunia sulla sua maglietta. Aahi ahi ahi aaahi! Kaamuniaamoreee!
L’importante è fare casino.
La K*P è frutto della necessità di fare casino, diretta conseguenza, in veste di reazione manifesta di rimprovero ai responsabili, della mancata autodeterminazione dei popoli kamuni e della dilagante assuefazione di grande e crescente parte degli stessi; queste del resto sono due dei più grandi motivi della paranoi(k)a che fa l’etimologia del nostro nome. Del resto la K*P nasce, seppur in trasferta, come irredentistica rivendicazione territoriale nei confronti di un invasore che viene addirittura da al-di-là-delle-grandi-montagne: il Crucco. Troppi usurpatori come il Crucco in cricca coi ricchi Assuefatti ormai da tempo insudiciano la Valle con le loro opere di “no”, di “così”, di “ho detto che è così”, “guarda che il bigmec non è male”, “hai un brufolo in fronte”, “che fico allouin!”, “finalmente non ci sono più i maroga al parchetto”
ecc.
ecc.
ecc.
…la K*P dice basta. A tutto ciò noi rispondiamo “sì! cosà, non ho mai detto che è cosà, dan sa ol strinù strinàt -Scùa!- ti piscio sulla macchina, viva la figa già non possiamo coltivare se poi ci tolgono gli spaccini…-Pace?!-”. Noi rivendichiamo la nostra come l’unica autorità sussistente e vigente sulle nostre persone e sui nostri corpi materiali, troppo spesso minacciati dai fautori della noia ((k), ndr.). Per questo ogni volta che il suono Kamunia Paranoika è stato, è e sarà pronunciato, è stato, è e sarà una denuncia contro tutti i misfatti dei succitati noiosi responsabili. State attenti. Vigili e Incazzati.
Continuo l’articolo con un altro pezzo di articolo.
-beh? Roger.
-boh! Roger.
-cosa scrivo? Roger.
-…che sei un paranoiko dimmerda. Roger…. Roger. …Roger?
-Mi chiamo Roger, e sono un Paranoiko.
coro: -Ciaaao Roooger!
-Be’ ecco..ero lì, no?
Voce fuori campo: -poi Roger morì.
Possiamo tornare alla Kamunia, magica libertaria, per le doglie del suo aspirante-forse-degno-sed-non-ad-libitum-primus-inter-pares il Mister. Rullano i tamburi. La folla è in delirio. Le ragazzine si spogliano. per il Mister. Tante buone cose né. Blocco dello scrittore. Sbem. Il vuoto.
Dopo mesi, torna la voglia. Di far capire al Kamuno che i soprusi intellettuali e le angherie dissimulatorie e dissimulate dei difensori dello status quo sono ordite dalla stessa mano che gli proibisce di mangiare a quell’albero di cui Noi Ci facciamo serpenti ciceroni, la stessa mano che si arroga il monopolio della liceità della violenza, -ora sì, comprendiamo il significato della parola arroganza: l’assuefazione più pericolosamente minacciosa per la libertà del Kamuno, dell’Uomo, è quella che rende l’occhio cieco all’arroganza propria di alcuni, che di fatto fanno violenza all’Umanità ogniqualvolta di arroganza compiano un atto, ovvero pretendano una proprietà esclusiva su qualcosa, bene notare che il male minore è quando la pretesa investa qualcosa di materiale. Sono i nostri pensieri in pericolo, in quanto lo è la capacità di metterli in atto senza il rischio, se non la certezza, spesso preannunciato/a, di andare a subirne chissacchè violenta, presuntuosamente (arrogantemente) dovuta, reazione.
Presuppostatamente, è chiaro e già detto, che ogni Sé sia unico padrone del proprio Io. E che i “nostri pensieri” di cui sopra non valichino il limite dell’arroganza. Abbiamo capito che i nostri nemici sono gli Arroganti, perché noi non siamo per esserlo. Quindi non assuefacciamoci.
Intermezzo geografico: Est!Est!!Est!!!
Intermezzo meteorologico oro(bi-o)scopico: Quandoversicuro?
-Ppppeeeeennnnnnsateci voi.
Disse Roger.
Se e quando posso io vi aiuto anche a capire. Ci provo. No non è vero. Sì è vero.
Tifate la Kamunia. E’ espressione. Con tutti gli aggettivi che volete. Ma non importano. Pur che sia, espressione. -Si. Può. Fare!-. E lo è. Questo scritto è Kamunia. Ogni manifestazione sdecodificata è Kamunia. I vostri rutti sono Kamunia. MA. La K*P non è ideologia. E’ strumento di un progetto di liberazione universale che mira allo sradicamento dell’ideologia dal cuore degli Uomini proponendosi come rifiuto della stessa. Alcol. Spazio bianco:
E. Una “e”. Poi un articolo indeterminativo singolare femminile e fra due virgolette un’altra “e”. Poi un avverbio di tempo e un articolo indeterminativo singolare maschile e un sostantivo singolare maschile e tre aggettivi e l’ennesima “e” e una preposizione semplice e un’aggettivo numerale cardinale e un sostantivo plurale femminile e un articolo indeterminativo singolare femminile e un aggettivo indefinito singolare femminile e fra altre due virgolette chissàcchenumero di “e” e poi mi sono rotto i coglioni.
Due tagliate. Un puledro al sangue e un vitello pure. Patate: al forno.
Versiamo più vino che sangue, lo sa bene l’arbitro. E il tizio pelato del Beatì con la passione per le canzoni di merda. Ma non gliene facciamo una colpa, è uno che si può redimere, lui.
Non ci sono personaggi in questa storia. Perché questa non è una storia. Questa è La Storia, La Geografia, L’Algebra. Questa è una macchia sul foglio vuoto degli annali del progredire intellettuale dell’essere umano. Se se…ma vaffanculo. Questa è l’ennesima accozzaglia di parole, e gli Analfabeti? Come la mettiamo? Stanno meglio loro, o tu, o Lettore? In realtà se ci fai caso dei personaggi ci sono: il Kamuno, il Crucco, gli Assuefatti, Roger, il Mister, l’Uomo, il Sè, l’Io, gli Arroganti, il tizio pelato, gli Analfabeti, il Lettore. Per ora. Una bella compagnia, non c’è che dire. Certo, l’assenza di una donzella si fa sentire, ma questo non è un Harmony. Bastano dei personaggi a fare una storia? Una volta Roger m’ha detto: -Smettila di chiederti se il bicchiere è mezzo pieno o vuoto. Tu lo devi essere, il bicchiere.
Da allora so che è me stesso quello che bevo tutte le sere e tutte le mattine, e non sarà mai altro (o dici che…?). Ovviamente ogni tanto arriva qualcuno che burlandosi di me come di una sedicenne in discoteca mi scioglie chissà che droga nella bibita. Ma la stessa sostanza nel tuo calice non avrà mai lo stesso sapore che ha nel mio, sempre che tu non ti stia ancora chiedendo se il bicchiere è pieno o vuoto. Ti presenterò Roger, se è così. Questo relativismo gustativo è la causa di e la soluzione a molte sorsate amare che beviamo. Ma, è lecito pensare che io possa bere agli altri bicchieri? Un bicchiere che beve da un altro bicchiere?? No, meglio dire che ogni tanto ci piace la droga con cui, per sbaglio o per posta o pure per finta, qualcuno ci ha condito la bevanda. Tutto ciò per finir per dire che: la K*P è la nostra botte, sccèc. E’ l’immenso bicchiere in cui si mesce ogni nostro bicchiere e a cui si dissetano le nostre secche gole. E’ il passaggio dal suddetto relativismo all’assetata condivisione dei sapori, perché ogni singolo bicchiere si riempia delle gocce e dei ghiacci degli altri, e, se c’è, pure una fetta d’arancia e un’ombrellino di carta non ci stanno male. Bref: la Kamunia, che lo sappiate o meno, che vi piaccia o meno, è una comune. La Nostra Comune.
OMNIA SUNT KAMMUNIA.
Un Kamuno
Certo, le prime parole che nascono al leggere il pezzo del fratello Kamuno (che se così si firma, così sarà da me apostrofato con l’aggiunta del “fratello” che esprime in modo affatto scontato i sentimenti che lo scrivente nutre nei suoi riguardi) non possono che essere profusioni di gioia ed elogi sperticati. Che ciò che avete letto mi sia piaciuto non lo nascondo ora e ci tengo a sottolinearlo poichè da quanto seguirà potrebbe sembrare forse il contrario. Sarebbe un’ impressione sbagliata.
Per deformazione professionale, e per il rispetto e la stima di cui sopra, mi sento tuttavia constretto ad esercitare il mio senso critico nei confronti dell’opera. I miei genitori spendono un sacco di soldi proprio perchè io impari a fare ciò e cerco di non farglieli spendere male.
Cercherò di scindere, nei limiti del lecito e del possibile, il piano del significante da quello del significato. La forma dalla sostanza insomma. Senza pretese di essere esaustivo nella mia analisi.
La Forma
Il veicolo del pensiero son le parole, l’insieme delle parole costituisce il testo. Il testo è l’oggetto della nostra analisi. La forma è quella dell’articolo. Sebbene è certo che attribuire classi di appartenenza alle manifestazioni letterarie sia atto arbitrario del critico (in questo caso supportato da un identico atto arbitrario da parte dell’autore) non deciderò certo di rinunciare all’arbitrio che mi è concesso e tanto meno alla possibilità di esercitarlo, perciò lo considero un articolo.
Si alternano a momenti spiccatamente divulgativi del pensiero del Kamuno, passaggi metatestuali (o forse più genericamente metalinguistici). Facciamo attenzione a questa caratteristica che non risulta certo secondaria nel nostro sforzo di categorizzazione. Magistrale e lampante esempio ce ne da il passaggio “E. Una “e”. Poi un articolo indeterminativo singolare femminile e fra due virgolette un’altra “e”. Poi un avverbio di tempo e un articolo indeterminativo singolare maschile e un sostantivo singolare maschile e tre aggettivi e l’ennesima “e” […] e poi mi sono rotto i coglioni.”
Alcune parti dialogiche servono allo scrittore per portarci in una dimensione di straniamento che gli consente di farci dialogare con lui nel campo che ha preventivamente scelto: quello del flusso di coscienza e del monologo interiore. Abile mossa quella di portarci per mano in questo posto chiamato “interiore”. Le battute che l’autore scambia con Roger (ma roger chi cazzo è? ci chiediamo) ci colpiscono come un mattone in faccia. Restiamo a quel punto appesi tra la voglia di smettere di leggere e quella di capire. Certo con la prima attitudine non siete neanche arrivati a leggere l’attuale quindi so’ cazzi vostri. Se invece avete voluto continuare, siete stati costretti ad accettare la forza che lo scrittore vi ha fatto: andate avanti senza capire e in fondo ne riparliamo. Certo ha avuto la delicatezza di segnalarci che si tratta di un altro pezzo di articolo. Ma un’altro pezzo vuol dire un altro articolo? Diversamente la precisazione è decisamente ridondante, finito un pezzo chiaramente ci apprestiamo a leggerne un altro. Allora non resta che interpretarlo come un “pezzo” rubato a qualcos’altro. Della precisazione saranno grati al Kamuno i filologi che dovranno ricostruire la storia del suo testo, recuperandone gli avantesti e spaccandosi il cervello per ricostruire le diverse fasi della stesura. Poi quando l’avranno fatto si vednicheranno biecamente della loro insoddisfazione cosmica su poveri studenti inconsapevoli ed innocenti. Noi per ora lo ringraziamo del fatto di averci dato un indizio importante su ben altra cosa: questo lavoro non nasce come organico. Arriveremo a dire se organico lo sia diventato, ma per ora sappiamo che non nasce come tale. Che è frutto di riflessioni accumulate, sedimentate e lasciate a riposo per essere riprese.
Il carattere ed il tono del pastiche emergono dalle poche osservazioni già fatte. Segnamo anche questo come indizio importante per il nostro sforzo catalogatorio.
In ultimo uno sguardo su un passo spiccatamente metaletterario. Prestiamo attenzione alla distinzione tra il metatestuale (sopra descritto e citato) ed il metaletterario. Se il primo si presenta infatti come: il testo che scrive di se stesso, con precisione logico-grammaticale, il secondo ci parla invece della composizione nel suo complesso e nel suo impianto: il testo che scrive della letteratura ed infine, per il principio delle scatole cinesi (principio al quale ho appena affibiato questo nome stupido), la letteratura che scrive di se stessa.
“Non ci sono personaggi in questa storia. Perché questa non è una storia. Questa è La Storia, La Geografia, L’Algebra. Questa è una macchia sul foglio vuoto degli annali del progredire intellettuale dell’essere umano. Se se…ma vaffanculo. Questa è l’ennesima accozzaglia di parole[…]”
Uno sguardo al contenuto
Credo che ci troviamo davanti al superamento del post-modernismo in un senso che i critici più snob ed eccessivi chiamerebbero post-postmodernista e che io chiamerò semplicemente superamento interno. Il testo è infatti evidentemente post-modernista, sia nel suo aspetto formale e stilistico (pastiche, collage, meta-testualità\letterarietà, e quanto segnalato prima…) sia nel suo aspetto contenutistico. L’accento posto sul relativismo e sul soggettivismo ed, in fondo ed in cima, la negazione di una realtà oggettiva dell’ “è così” sono alcuni dei chiari indici che si potrebbero segnalare. Eppure la conclusione ci riserva una sorpresa. Piacevolissima sorpresa. La realtà esiste. La realtà è la collettività, la sintesi, la Comune. La realtà è la Kamunia. Ecco che il cerchio si chiude in un sistema che, dopo averci portato al cospetto di un roger che non sapevamo chi fosse, ci presenta un roger che siamo tutti noi.
Le frasi conclusive della critica di un testo, di solito, sono le più lapidarie, voglio che le mie siano le più aperte: cosa ne pensate Voi?